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In un poemetto grottesco del XIII secolo La Grande Madre viene dipinta come una strega che ingerisce un giovane cavaliere per poi rimetterlo al mondo munito di volontà e coscienza necessarie per muoversi nel mondo adulto. La generosità della "Madre Folle" passa attraverso le sue viscere; la consapevolezza viene data in dono al figlio non tramite il verbo bensì il corpo. Questa performance trae spunto dall’anonima chanson de geste e ne ricrea due momenti: un prologo in cui la strega mangia il cavaliere, lo digerisce e infine lo espelle; una scena principale in cui il cavaliere corre verso la conquista della consapevolezza e della volontà. Nel prologo la perfomer interpreta la Strega-Madre, personaggio grottesco, estremamente attraente nello sguardo quanto spaventoso nel movimento: la danza in questa parte è radicalmente naturale, generata principalmente dalle viscere e dalla zona addominale, fulcro centrale di questa azione in quanto spazio fisico in cui avviene la digestione del cavaliere. Nella parte centrale della performance la stessa danzatrice interpreta invece il cavaliere venuto al mondo dall’apparato digerente della strega: appena vede la luce egli inizia a correre, caratteristica che sarà il suo unico codice di movimento. Durante la corsa eterna il cavaliere assume sicurezza di sé e consapevolezza sempre maggiori: la traduzione in movimento di questa conquista avviene nella parte superiore del corpo, la cui gestualità è inizialmente lenta e ripetuta, aumentando poi in velocità e articolazione in un climax crescente, al cui apice massimo seguirà la stasi. Il disegno coreografico ha un andamento circolare (stasi iniziale, inizio, climax, apice, stasi finale): il riferimento al cerchio richiama il rito di passaggio, dove si torna simbolicamente al punto di partenza dopo aver compiuto un percorso evolutivo.
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